LA NATIVITÀ DI RUBLEV
L’Icona della Natività della scuola di Rublev (1410-1430), attualmente presso la Galleria Tretjakov di Mosca, costituisce in sè un riassunto della storia della salvezza. Dal VI sec. in poi viene dipinta con un chiaro riferimento alla centralità della Theotokos, la Madre.
Tre sono i livelli di lettura principali:
- il primo, nella sfera superiore, si riferisce alla sfera del divino,
- il secondo, nella sfera di centro, riguarda il mistero dell’incarnazione,
- il terzo, nella sfera inferiore, illustra il livello dell’umanità.
Lo sfondo della scena è quasi tutto occupato da una grande montagna di forma piramidale, rappresentata nel classico stile a balze della prospettiva bizantina. La montagna, con tutte le sue valenze simboliche, unifica i tre livelli mettendoli in comunicazione tra loro.
La Grotta e il Bambino.
Nella parte alta dell’icona, un fascio di luce che comprende in sé la stella che guida i Magi, scende come per illuminare l’oscurità della caverna che si apre nel centro della montagna e si suddivide in tre raggi che intendono manifestare l’unità e la trinità di Dio. Al centro della montagna si apre la caverna oscura, la grotta del racconto di Luca, che qui si pone come un riferimento preciso alle fauci dell’abisso, degli Inferi (così come viene rappresentato anche nella icona della resurrezione). Infatti all’ingresso della grotta, centro dogmatico dell’icona, si trova la testa del bambino Gesù, sullo stesso asse di simmetria del fascio di luce. Il bambino è posto in una culla che sembra un sepolcro, avvolto in bende incrociate che rimandano alla sepoltura. il triangolo scuro della grotta, apertura tenebrosa delle viscere, è l’inferno. Il bambino coricato nelle tenebre è la discesa del Verbo agli inferi, “la luce splende nelle tenebre” (Gv 1,5). Per penetrare l’abisso il Cristo nasce all’ombra della morte. Egli è già l’uomo dei dolori di Isaia. Quelle stesse fasce che ora sono indicate dagli angeli ai pastori come un segno di riconoscimento del bambino divino, saranno l’unico segno del risorto per le donne, per Pietro e per Giovanni davanti al sepolcro vuoto. Tutto richiama ed indica la vittoria sulla morte e sugli inferi resa possibile dall’ incarnazione.
La Madre di Dio.
Fuori della grotta, in primo piano, è rappresentata la madre di Dio, distesa su di un manto rosso fuoco – che è il simbolo del sangue, della vita e quindi dell’amore divino – che la contorna e quasi la isola. La Madre, sfinita, poggia la testa sulla mano e ha lo sguardo perduto nella contemplazione del mistero. Non è rivolta verso il bambino, ma verso di noi: ci accoglie tutti e riconosce in noi la nascita del suo Figlio. Colei che ha generato il suo Creatore, rappresenta la nostra umanità. Il suo grembo è nello stesso asse di simmetria della stella e quindi del bambino, la sua maternità essendo divenuta maternità universale, in un atteggiamento di riflessione e contemplazione interiore dei misteri che stanno svolgendosi: “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Ai lati di questa scena centrale si trovano infatti, tre angeli e due pastori che accolgono l’annuncio angelico: i due mondi (divino ed umano) che sono coinvolti nel mistero. A questi misteri che la coinvolgono si riferiscono le tre stelle che si scorgono sul manto regale che tutta la avvolge e la racchiude, simboli della sua verginità prima, durante e dopo il parto.
I pastori.
Nel gruppo di angeli di destra, due sono rivolti verso i Magi ed uno verso i pastori, infatti dice Luca: “vi erano in quella medesima regione dei pastori che pernottavano in mezzo ai campi per fare la guardia al proprio gregge. Or un angelo del signore apparve loro e la gloria del Signore li avvolse sicché furono presi da gran timore” (Lc 2, 6-7).
I pastori rappresentano “il popolo che camminava nelle tenebre e vide una gran luce”( Is 9,1) l’umanità che riceve l’annuncio dell’avvenimento salvifico, che credono e seguono l’angelo. Ad essi, come a noi, si rivolge lo sguardo materno e pensoso di Maria.
Il bue e l’asino.
Nell’icona sono presenti anche degli elementi che non si trovano direttamente nei Vangeli dell’infanzia ma che provengono dai racconti dei Vangeli apocrifi, molto popolari nell’antichità, da cui gli iconografi hanno attinto largamente – senza mai snaturare il messaggio evangelico – tutto ciò che serviva a sottolinearlo e a renderlo più evidente e comprensibile. Il bue e l’asino, per esempio, che non sono citati nei Vangeli, devono la loro presenza alla tradizione del Vangelo dello Pseudo Matteo. Secondo gli autori cristiani raffigurano la parola del profeta Isaia: “Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone; Israele invece, non comprende, il mio popolo non ha senno” ( Is 1,5) e simboleggiano quindi i Gentili. E’ interessante osservare come il bambino posto nella mangiatoia per l’asino ed il bue raffigura l’Agnello Eucaristico, come cibo per i nuovi uomini (i gentili ed i greci simboleggiati dai due animali) – anch’egli “fattosi alimento” per la salvezza degli uomini.
San Giuseppe.
Nella parte inferiore si trova San Giuseppe rinchiuso anch’esso nel mantello dei propri pensieri, nel suo umanissimo dubbio di fronte al mistero. I vangeli apocrifi si dilungano dettagliatamente sui dubbi e sulle reazioni incredule di Giuseppe davanti al concepimento di Maria, e anche il Vangelo di Matteo lo dipinge mentre è in preda all’incertezza “Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto” (Mt 1,19) Giuseppe, dunque, è l’uomo che si interroga davanti al mistero e di fronte a lui la tentazione del dubbio si materializza e si personifica in una figura di pastore coperto di pelli, la cui vera natura si rivela in alcune rappresentazioni, come in una cupola della Cattedrale dell’Annunciazione a Mosca, attraverso due piccoli corni che gli spuntano sul capo. La tradizione dà al pastore–diavolo il nome di Tirso, che è anche il nome del bastone di Dioniso e dei satiri.
Le donne.
Nella parte inferiore, a destra, vi è anche un’altra scena: una o due donne preparano il bagno del Bambino: questo gesto (anch’esso molto sviluppato negli apocrifi, in cui una delle donne è addirittura Eva la progenitrice, reintegrata nella sua antica dignità per la venuta del Redentore) sottolinea da un lato la perfetta umanità del Cristo, e dall’altro è prefigurazione del battesimo, sacramento in cui il discendere nell’acqua ed il risalirne simboleggia la discesa agli Inferi e l’uscita da questi (Rm 6,1-4).
I Magi.
In alto a sinistra da lontano giungono, a cavallo, i Magi. Essi rappresentano i santi ed i giusti che, pur estranei al popolo di Israele, saranno compresi ora nel nuovo regno messianico. Così il Cristo è presentato fin dalla nascita come colui che estende l’ Alleanza, iniziata con Israele, a tutti gli uomini. I Magi sono infatti il simbolo dell’umanità alla ricerca del Paradiso perduto, di età diverse, la tradizione iconografica attribuisce loro come caratteristica costante un aspetto giovanile, adulto e senile, riproducendo in una unica sintesi visiva le tre età dell’uomo, viene rappresentata anche la diversità delle razze – simbolo della ricerca di tutto l’uomo e di tutti gli uomini.
Il Creato.
Infine in tutta la scena ricorrono elementi vegetali e animali: alberi e arbusti, pecore e agnelli, talvolta un cane. Tutti hanno lo sguardo rivolto verso l’alto come i pastori. Essi esprimono lo stupore del creato in quel momento prodigioso, così come viene descritto in un brano tra i più poetici dei vangeli apocrifi, il protovangelo di Giacomo: “Io, Giuseppe, cercavo di camminare e non mi muovevo. Guardai verso il cielo e vidi che era immobile e verso l’aria e vidi che era piena di stupore e gli uccelli del cielo fermi nel loro volo. E vidi che sopraggiungevano delle pecore e le pecore restarono immobili. E guardai verso la riva del fiume e vidi dei capretti e la loro bocca piegata sull’acqua e non bevevano. E tutto, in un momento, riprese il suo corso normale.” Questa immobilità misteriosa e stupita si riproduce nel nostro presepe, nell’incanto leggiadro e poetico delle statuine che ci ricordano ancora quest’anno e in ogni notte di Natale, la grande tenerezza di Dio per gli uomini che Egli ama.